lunedì 10 marzo 2014

Apocalissi queer / Lorenzo Bernini

Inauguro il blog "Gramscisessuale", il cui scopo è tentare di trasmettere ai bisessuali l'egemonia culturale che attualmente detengono, più che gli eterosessuali, gli eteronormativi, con una piccola recensione del libro Apocalissi queer. Elementi di teoria antisociale / Lorenzo Bernini.

Molte persone più competenti di me (tra cui l'autore stesso nella sua overture) hanno riassunto il libro - il cui scopo è dar conto dei filoni più inquietanti delle teorie queer (esemplificati da Leo Bersani, Guy Hocquenghem, Lee Edelmann), che rivendicano orgogliosamente come caratteristica dell'omosessualità proprio il rifiuto del futuro (rappresentato dalla posterità, alias la prole) che gli eteronormativi rinfacciano a chi pratica sesso non procreativo, ed in particolar modo a chi versa il proprio seme "in vaso improprio".

Le argomentazioni con qui questi autori sostengono le loro posizioni (ed alcune delle obiezioni che muove loro Bernini) è meglio che le leggiate nel libro; vorrei invece dare una lettura personale della principale risposta che il filosofo della politica Bernini dedica a codesti teorici, i quali hanno la sgradevole caratteristica di schiacciare le persone "queer" [non-etero e/o non-cis] tra l'oppressione dell'eteronormatività ed il nichilismo della pulsione di morte.

Bernini osserva che il soggetto politico della tradizione liberale che questi teorici prendono a bersaglio, quello che appare intriso di progettualità per il futuro, in nome del quale sacrifica il presente, nasce con il pensiero di Thomas Hobbes.

Nella lettura di Bernini, Hobbes prende sul serio uno dei capisaldi del cristianesimo: poiché il Messia Gesù è già venuto, nessuna evoluzione storica è più possibile, e tutti gli uomini vivono in un perenne presente in attesa della seconda venuta di Cristo, unico evento significativo previsto in futuro.

Mi distacco qui dall'argomentazione di Bernini per osservare che in questa situazione non si progetta un futuro: si vive una coazione a ripetere (in cui gli psicoanalisti rinvengono il segno della pulsione di morte), in cui anche la riproduzione personale, familiare e sociale non è altro che un ripetere le medesime azioni, con varie periodicità (da più volte al giorno a più volte al secolo), affidandole a diverse persone con il susseguirsi delle generazioni.

La pulsione di morte non trionfa quindi in alcuni degli stili di vita queer, come sostengono invece gli autori citati nel libro, bensì proprio nella società eteronormativa costruita intorno ai soggetti liberali hobbesiani.

La catena di montaggio fordista (ci ho lavorato in gioventù - Gramsci aveva ragione a dire che l'operaio ormai esperto può lavorare pensando ad altro, filosofeggiando perfino) è una rarità ormai, ma la parcellizzazione delle proprie vite, chiuse in ruoli sempre più ripetitivi, limitati e svalutati (non solo dal punto di vista economico), per non dire degradanti ed autodistruttivi, è sempre più pervasiva.

Tutte le considerazioni che nel libro vengono fatte sulla pulsione e sulle attività sessuali capaci di dissolvere l'io, pur validissime e confermate da molteplici autori, nonché dall'esperienza di quasi ogni persona (anche quelle che non sono "passive"), sono perciò un vedere gli alberi e non la foresta.

Secondo la mia lettura, la critica più radicale che si può fare ai teorici queer antisociali è che non è negando il valore del futuro che si demolisce la società eteronormativa: essa non ha un futuro degno del nome da offrire.

È come se questi teorici cercassero di fare uno streaking, senza rendersi conto di essere in un campo nudista! Un campo nudista in cui molti si comportano come il re della favola di Andersen (guarda caso, bisessuale con netta preferenza per i maschietti), che non vuole ammettere di essere nudo perché attribuisce la propria nudità alla propria inettitudine al ruolo (regale) anziché alla truffa che ha subìto.

Bernini cita spesso la "pop culture = cultura popolare"; io cito una vignetta di Dilbert (pubblicata il 2 Febbraio 2014 - non la riporto per non pagare i diritti d'autore): in essa lo sconsolato ingegnere software Dilbert spiega al suo capo che, per non sperperare la sua limitata forza di volontà, ha deciso di applicarla solo al lavoro e non al cibo - con il risultato che ha cominciato ad ingozzarsi, è diventato obeso, ed ha ridotto la sua speranza di vita di vent'anni.

Il suo capo (normalmente non è un mostro né di sagacia né di empatia) gli chiede se gli va bene così, e lui risponde: "Ma chi vorrebbe altri vent'anni della mia vita?"

Credo che siano in molti, etero e cis, a pensarla come Dilbert (che, bontà sua, sostiene nelle strisce che disegna di lui Scott Adams i diritti delle persone LGBTQAI) - le persone LGBTQAI dovrebbero allearsi con loro ed offrire un futuro degno del nome, non lodarne il rifiuto.

Quello che però mi ha convinto a dedicare il post inaugurale di questo blog "gramscisessuale" al libro di Bernini è questa coppia di brani (ce ne sono anche altri, ma non posso citare pure quelli senza violare i diritti d'autore), che si trovano nelle pagine 162 e 163, con cui Bernini attira l'attenzione su un aspetto spesso trascurato del pensiero di Hobbes:
Ma gran parte degli altri compiti del sovrano si esercitano non tanto con la forza quanto attraverso l'azione persuasiva, pastorale, di un potere-sapere volto a plasmare la soggettività degli individui. Tale azione richiede una preventiva conoscenza della realtà che il sovrano è chiamato a governare, e quindi la produzione di verità relative ai suoi sudditi, al territorio, alle risorse e ai rapporti economici da cui dipendono quelle che sintomaticamente Hobbes chiama alimentazione e progenie dello stato
(...) 
Al Leviatano non è infatti sufficiente che il popolo sia edotto della sua volontà che è legge: esso esige che ogni singola cellula del suo grande corpo approvi la sua volontà, che ne sia intimamente convinta, che conosca le verità che razionalmente la giustificano.
Questi brani qui mostrano la necessità di quella che, tre secoli dopo Thomas Hobbes (1588-1679), Antonio Gramsci (1891-1937) chiamerà "egemonia".

Non sembra si siano tentate letture di Hobbes alla luce di Gramsci - eppure Bernini, parlando di Hobbes, espone una condizione essenziale per ottenere l'egemonia, ben nota al Leviatano: saper amministrare (nel peggiore dei casi, quello dei demagoghi, manipolare) la paura e la speranza, i principali sentimenti che collegano il presente di una persona al suo futuro.

Credo (sono ben altro che un "gramscista", quindi non posso esserne sicuro) che l'importanza di questi sentimenti non sia mai stata formalizzata da Gramsci, ma i suoi seguaci la conoscono bene, almeno a giudicare da quello che ho scritto qui, sintetizzando il pensiero di uno di loro, Gaetano Sabattini.

Gramsci è al centro della "democrazia radicale", corrente di pensiero i cui principali esponenti sono Ernesto Laclau e Chantal Mouffe (altra informazione che devo a Lorenzo Bernini, che pertanto ringrazio), autori del libro Hegemony and Socialist Strategy (Wiki, Verso), ma penso che sarebbe molto interessante chiedersi se non sia opportuno ibridare il Principe di Machiavelli preso ad esempio da Gramsci con il Leviatano di Hobbes gramscianamente rivisitato, per ottenere un soggetto politico capace di produrre egemonia.

Raffaele Ladu,
10 Febbraio 2014

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