domenica 16 marzo 2014

Eteronormatività come folklore

In Q. 1 (XVI), § <89> _Folklore_, pp. 65 bis-66 bis, Gramsci comincia una serie di acute osservazioni sul Folklore, che verranno poi rielaborate in Q. 27 (XI), pp. 1-5.

Vi riporto un paio di brani che mi paiono estremamente interessanti, prima di applicarli all'eteronormatività:

"Il folklore, mi pare, è stato finora studiato (in realtà finora è stato solo raccolto materiale grezzo) come elemento «pittoresco». Bisognerebbe studiarlo come «concezione del mondo» di determinati strati della società, che non sono toccati dalle correnti moderne di pensiero. Concezione del mondo non solo non elaborata e sistemizzata, perché il popolo per definizione non può far ciò, ma molteplice, nel senso che è una giustapposizione meccanica di parecchie concezioni del mondo, se addirittura non è un museo di frammenti di tutte le concezioni del mondo e della vita che si sono succedute nella storia. Anche il pensiero e la scienza moderna danno elementi al folklore, in quanto certe affermazioni scientifiche e certe opinioni, avulse dal loro complesso, cadono nel dominio popolare e sono «arrangiate» nel mosaico della tradizione (...). Il folklore può esser capito solo come riflesso delle condizioni di vita del popolo, sebbene spesso esso si prolunghi anche quando le condizioni siano modificate in combinazioni bizzarre. (p. 65 bis)"
(...) 
"Ma allora, perché insegnare il folklore nelle scuole che preparano gli insegnanti? Per accrescere la cultura disinteressata dei maestri? Lo Stato ha una sua concezione della vita e cerca di diffonderla: è un suo compito e un suo dovere. Questa diffusione non avviene su una tabula rasa; entra in concorrenza e si urta per es. col folklore e «deve» superarlo. Conoscere il folklore significa per l'insegnante conoscere quali altre concezioni lavorano alla formazione intellettuale e morale delle generazioni giovani. (...) Solo così l'insegnamento sarà più efficace e più formativo della cultura delle grandi masse popolari e sparirà il distacco tra cultura moderna e cultura popolare o folklore. (p. 66)"

Gramsci aveva già notato (Q. 1 (XVI), § <68> _La quistione sessuale e la Chiesa cattolica. Elementi dottrinari._, pp. 58-59 bis) che il diritto canonico esige per la validità del consenso che i nubendi sappiano cos'è la riproduzione sessuale, cosa che, per citare Gramsci, "dovrebbe giustificare e anzi imporre l'educazione sessuale" (p. 59); purtroppo invece "si finisce col preferire le nozioni [saltuarie e] «morbose» alle nozioni «metodiche» e educative". (p. 59)

Prima ancora aveva scritto Gramsci (Q. 1 (XVI), § <65> _Riviste tipo_, pp. 57 bis-58):

"Ogni strato sociale ha il suo «senso comune» che è in fondo la concezone della vita e la morale più diffusa. Ogni corrente filosofica lascia una (57 bis | 58) sedimentazione di «senso comune»: è questo il documento della sua effettualità storica. Il senso comune non è qualcosa di irrigidito e immobile, ma si trasforma continuamente, arricchendosi di nozioni scientifiche e opinioni filosofiche entrate nel costume. Il «senso comune» è il folklore della «filosofia» e sta di mezzo tra il «folklore» vero e proprio (cioè come è inteso) e la filosofia, la scienza, l'economia degli scienziati. Il «senso comune» crea il futuro folklore, cioè una fase più o meno irrigidita di un certo tempo e luogo. (...)" (p. 58)

Credo di avere abbastanza elementi per cominciare la riflessione. Innanzitutto preciso che dissento da Gramsci quando dice che è dovere dello Stato diffondere la sua concezione della vita: preferisco in questo John Rawls ad Antonio Gramsci, e penso perciò che lo Stato deve garantire la convivenza delle più diverse concezioni della vita, fornendo a tutti attraverso l'istruzione i mezzi per crearsi la propria - senza imporne una a nessuno.

La seconda cosa è quella che aveva già notato Gramsci: la sessualità è l'unico campo della vita in cui i reazionari preferiscono che la massa delle persone conosca il folklore e non la scienza. Dire che l'educazione sessuale deve essere affidata alla famiglia e non alla scuola vuol dire infatti questo.

Tanto per intenderci, nessuno direbbe mai: "Uno dei suoi genitori è avvocato, non ha bisogno della laurea in giurisprudenza per iniziare la professione", perché tutti sanno che nemmeno in un caso tanto favorevole l'educazione informale che si riceve in famiglia darebbe una formazione adeguata, di livello scientifico e non folkloristico.

Pretendere invece che la maggior parte delle persone riceva solo questo tipo di educazione in campo sessuale significa ammettere che i "valori" che si vogliono trasmettere non reggono al vaglio della scienza, e l'unico loro puntello è il "senso comune" gramscianamente definito.

L'eteronormatività si configura da questo punto come una forma di folklore, non come una dottrina organica - soltanto adesso, come reazione alle teorie queer, gli eteronormativi cercano di creare una teoria coerente, ma la loro fiducia nella possibilità di riuscirci è così scarsa che hanno voluto bocciare il "Rapporto Estrela" nel Dicembre 2013, usando come pretesto non solo le posizioni espresse sull'aborto, ma anche il fatto che il rapporto raccomandava l'educazione sessuale nelle scuole dell'infanzia.

Proviamo a metterci nei panni di uno dei pochi marxisti tuttora esistenti (non sono fra loro, ma sono stato per nove anni iscritto al PCI, e penso perciò di conoscerne la mentalità), il quale viene a sapere che Il Sole 24 Ore si è messo a pubblicare la collana Economia Classica Per Tempi Moderni, che comprende Il Capitale di Karl Marx (in edicola si può comprare un condensato dell'opera, che contiene le credenziali per scaricare l'intera opera sotto forma di e-book).

Il marxista in questione probabilmente gongolerebbe, pensando che è un tributo alla grandezza di Marx il fatto che il giornale della Confindustria lo ritenga indispensabile alla formazione culturale del buon borghese - e che Marx riuscirebbe a sopravvivere anche ad una lettura riduttiva o tendenziosa, per cui bisogna comunque plaudire all'iniziativa.

Questa fiducia nella capacità delle proprie idee di farsi apprezzare in ogni circostanza ce l'hanno i reazionari quando cercano di sabotare le ore alternative all'insegnamento della religione cattolica, e preferiscono avere una classe piena di studenti indispettiti ad una classe con pochi studenti motivati; ma questa fiducia non ce l'hanno quando si tratta di insegnare l'educazione sessuale a scuola, e protestano contro i corsi di studi di genere e di teorie queer all'università.

Non c'è egemonia gramsciana senza la fiducia nelle proprie idee e nella possibilità di convincere altri della loro universale validità. Socialmente, le persone queer sono svantaggiate (e parecchio), ma paradossalmente sono gli eteronormativi ora ad essere culturalmente subalterni, perché non sono loro a dettare i termini del discorso, e non possono evitare di tradurre quello che potrebbe dirsi il loro "sapere" (sospendiamo momentaneamente il giudizio sul merito) in un linguaggio che non è quello loro proprio per farsi capire.

A questo punto, conviene secondo me capovolgere l'atteggiamento queer nei confronti dell'"eteronormatività come folklore".

Le teorie queer mostrano che quello che appare naturale (la "matrice eterosessuale", ad esempio, che, secondo Judith Butler, impone la coerenza tra corpo, genere e desiderio) è in realtà una costruzione sociale, ma partono dal presupposto che l'eteronormatività sia una dottrina egemone (anche gramscianamente) che si può combattere soltanto parodiando i rituali che impone in modo da smascherarli.

Questo è il comportamento di chi ritiene impossibile prendere di petto l'egemonia altrui - ma, secondo me, è lo stesso comportamento degli eteronormativi, che sottraggono le loro concezioni al serio dibattito che imporrebbe la loro inclusione in un insegnamento scolastico, a mostrare la debolezza concettuale dell'eteronormatività, che si configura come una stratificazione non preordinata (gramscianamente, "folkloristica") di concezioni di disparata origine.

Un "genogramma" (non una semplice "genealogia") delle varie forme di eteronormatività potrebbe assestarle un duro colpo. Non è un'impresa facile (soprattutto perché il "senso comune" è lento ad evolversi, e quindi anche un'ottima confutazione non avrà effetto immediato), ma va a mio avviso tentata.

Raffaele Ladu,
15 Marzo 2014

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