mercoledì 9 aprile 2014

Per un femminismo non essenzialista

Sempre dal libro

Traduco questo brano – parla del femminismo, ma la metodologia è applicabile a tutti coloro che lottano per il cambiamento.

(inizio)
Qualcosa di simile si può dire sul ‘soggetto’ del femminismo. La critica dell’essenzialismo femminista è stata portata avanti in particolare dalla rivista inglese m/f: diversi studi importanti hanno respinto la nozione di ‘oppressione delle donne’ come categoria precostituita – sia rinvenuta la sua causa nella famiglia, nel modo di produzione od altrove – ed hanno tentato di studiare ‘il particolare momento storico, le istituzioni e le pratiche attraverso cui si produce la categoria della donna’. [Nota 29] Una volta che si è negato che esista un unico meccanismo dell’oppressione delle donne, si apre un immenso campo d’azione per la politica femminista. Uno può allora percepire l’importanza delle lotte puntuali contro ogni forma oppressiva di costruire le differenze sessuali, sia al livello della legge, della famiglia, della politica sociale, o delle forme culturali multiple attraverso cui la categoria del ‘femminino’ è costantemente prodotta. Noi siamo, perciò nel campo di una dispersione delle posizioni soggettive. La difficoltà di questo approccio, però, nasce dall’enfasi unilaterale data al momento [p.103 | p. 104] della dispersione – tanto unilaterale che noi restiamo solo con un insieme eterogeneo di differenze sessuali costruite attraverso pratiche che non hanno alcuna relazione reciproca. Ora, mentre è assolutamente corretto mettere in discussione l’idea di una divisione sessuale originaria rappresentata a posteriori nelle pratiche sociali, è anche necessario riconoscere che la sovradeterminazione tra le diverse differenze sessuali produce un effetto sistematico di divisione sessuale. [Nota 30] Ogni costruzione di differenze sessuali, qualunque sia la loro molteplicità ed eterogeneità, invariabilmente costruisce il femminino come un polo subordinato al mascolino. È per questo motivo che si può parlare di un sistema sesso/genere. [Nota 31] L’insieme delle pratiche sociali, delle istituzioni e dei discorsi che producono la donna come categoria, non sono completamente isolati, ma si rinforzano mutuamente e si influenzano a vicenda. Questo non significa che c’è una sola causa della subordinazione femminile. La nostra opinione è che una volta che il sesso femminile è venuto a connotare un genere femminile con caratteristiche specifiche, questa ‘significazione immaginaria’ produce effetti concreti nelle diverse pratiche sociali. Pertanto, c’è una stretta correlazione tra la ‘subordinazione’, come categoria generale che dà forma all’insieme dei significati che costituiscono la ‘femminilità’, e l’autonomia e lo sviluppo diseguale delle diverse pratiche che costruiscono le concrete forme di subordinazione. Queste ultime non sono l’espressione di un’immutabile essenza femminina; ma nella loro costruzione, però, il simbolismo che è collegato alla condizione femminile in una data società gioca un ruolo primordiale. Le diverse forme di subordinazione, a loro volta, reagiscono contribuendo al mantenere ed al riprodurre questo simbolismo. [Nota 32] È perciò possibile criticare l’idea di un antagonismo originario tra uomini e donne, costitutivo della divisione sessuale, senza negare che nelle varie forme di costruzione della ‘femminilità’ cì un elemento comune che ha forti effetti sovradeterminanti nei termini della divisione sessuale.
(note)
[Nota 29] m/f, 1978, numero 1, nota editoriale. 
[Nota 30] Cfr. C. Mouffe, ‘The Sex/Gender System and the Discorsive Construction of Women’s Subordination = Il sistema sesso/genere e la costruzione discorsiva della subordinazione delle donne’, in S. Haeninen ed L. Paldan, curatori, Rethinking Ideology: A Marxist Debate = Ripensare l’ideologia: un dibattito marxista, Berlino, 1983. Un’introduzione storica alla politica femminista da questo punto di vista la si può trovare in Sally Alexander, ‘Women, Class and Sexual Difference = Donne, classe e differenza sessuale’, History Workshop 17, Primavera 1983. Sulla più generale questione della politica sessuale, vedasi Jeffrey Weeks, Sex, Politics and Society = Sesso, Politica e Società, Londra 1981. 
[Nota 31] Questo concetto è stato sviluppato da Gayle Rubin, ‘The Traffic in Women: Notes on the “Political Economy” of Sex = Il traffico delle donne: note sull’”economia politica” del sesso’, in R. R. Reiter, curatore, Toward an Anthropology of Women = Verso un’antropologia delle donne, New York/Londra 1975, pp. 157-210. 
[Nota 32] Questo aspetto non è completamente ignorato dai curatori di m/f. Perciò, P. Adams e J. Minson affermano: “Ci sono certe forme di responsabilità ‘illimitata’ che coprono una molteplicità di relazioni sociali – tali che le persone sono ritenute ‘responsabili’ in generale, in una molteplicità di valutazioni (essere ritenuto ‘irresponsabile’ ne è il polo negativo). Però, per quanto diffusa appaia questa responsabilità illimitata, essa è comunque soggetta alla soddisfazione di condizioni sociali definite e la responsabilità ‘illimitata’ deve essere interpretata come un fascio eterogeneo di norme”. ‘The “Subject” of Feminism = Il “soggetto” del femminismo’, m/f, 1978, no. 2, p. 53
(fine)

L’interpretazione che do di questo brano è che si sbaglia a ritenere che l’oppressione delle donne abbia un’unica causa, anche perché questo postulerebbe l’esistenza di un unico tipo di donna. Esistono molti modi di costruire (cioè, creare con la mente) una differenza tra uomini e donne che giustifichi la subordinazione delle donne agli uomini, ed ognuna di queste costruzioni (a livello sociale, legislativo, familiare, culturale, eccetera) va combattuta.

Queste costruzioni vanno demolite (tenete a mente il bisticcio) una alla volta oppure tutte insieme? E sono nate grazie ad un progetto unitario (come nella pianificazione urbanistica moderna) oppure sono nate una accanto all’altra, magari imitando l’una l’altra (come è accaduto in molte città premoderne, per non dire medioevali?).

Gli autori negano l’esistenza di un progetto unitario, che si baserebbe infine sull’intrinseca diversità tra gli uomini e le donne (per gli autori, non esiste: il dato biologico non si traduce automaticamente in uno sociale); sostengono invece l’ipotesi che siano nate una accanto all’altra. Però chiunque visiti una città medievale si rende conto che una costruzione che raggiunge il suo scopo ha i suoi imitatori, che costituiscono uno stile ed infine un paesaggio urbano coerente – quello che, fuor di metafora, viene qui chiamato “sistema sesso/genere”.

In un paesaggio urbano coerente gli edifici imitandosi a vicenda creano una famiglia di rimandi - ogni edificio evoca in chi lo contempla tutti quelli che gli somigliano, e chi li guarda se li imprime tutti nella memoria; un fenomeno simile (in cui un simbolo rimanda a tanti altri) viene chiamato in psicoanalisi "sovradeterminazione".

Come nelle città premoderne gli edifici si sostengono a vicenda, così queste costruzioni della differenza sessuale si sostengono a vicenda (strutturalmente e simbolicamente) – non si consiglia l’atomica per spianare l’agglomerato una volta per tutte, e quindi non resta che abbatterle ad una ad una, scegliendo attentamente da quali cominciare, ma senza dimenticare il quadro complessivo e l’obbiettivo finale.

Due cose aggiungo: la prima è che quello che viene detto della lotta delle donne per me vale anche per la lotta delle minoranze sessuali; la seconda è che, se il “sistema sesso/genere” nasce per “concrezioni” successive, allora di esso si può dire quello che disse Gramsci del folklore, e che ho esplicitato qui.

La pianificazione urbanistica ha distrutto capolavori, ma anche quartieri malsani. Le discriminzioni sociali appartengono alla seconda categoria.

Raffaele Ladu
9 Aprile 2014